Le sentenze del Tar del Lazio respingono i ricorsi delle industrie e salvano l’etichetta di origine, che obbliga i produttori a indicare sulla confezione della pasta la provenienza nazionale o straniera del grano impiegato.
La questione aveva visto la luce circa 6 anni fa, quando diverse industrie avevano presentato al Tar ricorsi nei confronti del decreto con cui, a metà 2017, l’allora Mipaaf (Ministero delle Politiche Agricole, Alimentari e forestali) e il Mise (Ministero dello Sviluppo Economico) hanno imposto ai produttori di pasta l’obbligo di indicare in etichetta il Paese di coltivazione del grano e il Paese di molitura, al fine di garantire un’informazione completa e trasparente ai consumatori, funzionale a consentire una scelta libera e consapevole.
Un provvedimento valido anche quest’anno grazie alla firma apposta al decreto interministeriale che proroga fino al 31 dicembre 2023 i regimi sperimentali dell’indicazione di origine.
Un nulla di fatto quindi per le aziende, che dovranno continuare a rispettare le regole attualmente vigenti per le etichette, ovvero: se le confezioni di pasta secca vengono prodotte in Italia devono indicare il nome del Paese nel quale il grano viene coltivato e quello di molitura; se proviene o è stato molito in più paesi possono essere utilizzate, a seconda dei casi, le seguenti diciture: paesi Ue, paesi Non Ue, paesi Ue e Non Ue. Inoltre, se il grano duro è coltivato almeno per il 50% in un solo Paese, come ad esempio l’Italia, si può usare la dicitura: “Italia e altri Paesi Ue e/o non Ue.
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